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Primo Maggio, Confapi: “Le aziende devono incentivare i giovani a coltivare la ricerca della qualità della vita”

Quando faccio i colloqui ai candidati la prima domanda che mi fanno è relativa allo smart working, non alla retribuzione. Questo perché i giovani hanno imparato l’importanza della qualità della vita. Le piccole e medie imprese hanno il dovere di incentivarli in questa filosofia: è il modo migliore per diventare attrattivi nei confronti dei ragazzi”. A parlare è Alberto Cirelli, il presidente reggiano di Confapi Emilia, a sua volta socio della GEP Informatica di Correggio.

“Credo sia importante – continua Cirelli – approfittare della ricorrenza del Primo Maggio per uscire da vecchi schemi circa il lavoro che, confrontati con i dati che emergono da scuole, università, aziende, non funzionano più. Di recente abbiamo realizzato con GI Group, società leader in recruitment e formazione, un’indagine per valutare com’è cambiato il mondo del lavoro in Emilia Romagna. I risultati sono stati estremamente interessanti. Per prima cosa si avverte sempre di più la necessità di una maggiore collaborazione con il mondo delle scuole e dell’università, a partire dalla sensibilizzazione e dall’orientamento delle famiglie. Compito delle imprese e delle loro associazioni è quello di fornire dati e supporto per far capire di che cosa ha davvero bisogno nel concreto il nostro territorio. Chiaramente ognuno ha la libertà di scegliere il suo percorso, ma è fondamentale non generare un gap tra le aspettative dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro ed i bisogni delle aziende. Lo ripeto, è assolutamente giusto e auspicabile che chiunque segua la propria ambizione, ma è altrettanto auspicabile che le aziende e le loro associazioni siano in grado di comunicare chiaramente di quali figure professionali il nostro territorio avrà bisogno nei prossimi dieci, quindici anni”.

“Un orientamento rispettoso delle libertà individuali – continua il presidente di Confapi Emilia – ma che abbia anche il coraggio di rompere lo schema, oramai desueto, tra licei e istituti tecnici. Che dia pari dignità e, soprattutto, che sappia indicare alle famiglie quali sono le competenze che garantiranno ai ragazzi un futuro nel nostro territorio”.

“Un altro punto di riflessione emerso dalla nostra indagine è rappresentato dalla domanda che le aziende si sono poste: come possiamo noi, piccole e medie imprese, che rappresentiamo oltre l’80% dei posti di lavoro, a divenire attrattive per i ragazzi? Come facciamo a spiegare a loro e alle loro famiglie che non esistono solo i grandi brand ma che si può pensare di costruire un futuro solido anche all’interno di aziende più piccole e spesso anche più vicine ai bisogni dei ragazzi? Bisogni e modi di intendere il lavoro che sono profondamente cambiati negli ultimi anni, con un processo che era già in atto e su cui la pandemia ha dato una pesante accelerazione”.

“Oggi i ragazzi prima di chiederti quant’è lo stipendio ti chiedono se esiste lo smart working, per i ruoli ove è ovviamente possibile. E questo non perché non abbiamo una cultura del lavoro, ma perché hanno imparato l’importanza della qualità della vita. Una conquista che non solo va accettata ma va incentivata perché se uniamo alla competenza anche l’entusiasmo e la serenità, legati ad una buona qualità di vita, possiamo veramente avere collaboratori in grado di offrire prestazioni di altissimo livello”.

Riteniamo che festeggiare la giornata del Lavoro – conclude Cirelli – possa significare anche questo: interrogarci tutti per trovare soluzioni concrete per garantire che il nostro tessuto produttivo di PMI, che tanto ha fatto per lo sviluppo economico e sociale delle nostre province emiliane, possa continuare a garantire quella stabilità e quella coesione sociale che esistono solo dove c’è lavoro. E soprattutto un ‘buon lavoro”.
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