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BANCHE CENTRALI TRA INFLAZIONE E STABILITÀ DEI MERCATI

A cura di Massimo Collina

Introduzione

Il World Happiness Report, basato sulla situazione economica e sociale di 146 Paesi, misura fattori quali il reddito pro capite, la sicurezza finanziaria, ma anche l’aspettativa di vita o la percezione degli intervistati di avere un adeguato sostegno sociale. Quest’anno la felicità globale raggiunge un punteggio medio di 5,6 punti, appena uno 0,1 in più rispetto al 2021. Gli ultimi anni hanno consegnato un contributo nullo alla crescita di questo indice: la pandemia ci ha costretto al distanziamento sociale, mentre la guerra in Ucraina ha messo in discussione la nostra sicurezza. Questo indicatore rileva che non si può essere felici da soli, ma solo all’interno di una comunità felice.

Non è quindi un caso che gli Stati ai primi posti in questa classifica siano i paesi del nord Europa, da sempre molto attenti alle politiche sociali. Per il quinto anno consecutivo la Finlandia (7,8 punti) si conferma il Paese con i cittadini più felici del pianeta, seguono la Danimarca e l’Islanda (entrambi con 7,6 punti). A seguire anche la Svizzera (7,5) e tre nazioni a parimerito quali Olanda, Norvegia e Svezia (tutte e tre con 7,4 punti). L’Italia resta in una posizione intermedia con i suoi 6,5 punti, a pari merito con la Spagna e leggermente al di sopra del Portogallo (6), ma al di sotto della Francia (6,7) e del Regno Unito (6,9). La politica ha un ruolo fondamentale nella nostra vita, le decisioni prese dai nostri governanti si riflettono sul nostro benessere, felicità e fiducia nel futuro.

In un editoriale su Bloomberg di fine settembre ho appreso che negli Stati Uniti ci sono state forti tensioni sulla ricollocazione dei migranti. Alcuni governatori repubblicani di stati al confine con il Messico, come Texas e Arizona, hanno trasportato, a spese dei contribuenti, migliaia di richiedenti asilo nelle aree controllate dai democratici. Una trovata politica cinica ed insensibile, ma anche un atto d’accusa verso l’incapacità del governo federale di controllare i confini del paese. Ad aprile, il governatore del Texas Greg Abbott ha iniziato ad accompagnare i migranti in autobus a Washington DC, un programma che in seguito ha esteso anche a New York City e Chicago. Per non essere da meno Ron DeSantis, governatore della Florida, il quale ha aiutato 50 richiedenti asilo venezuelani a raggiungere in aereo Martha’s Vineyard nel Massachusetts come risposta ai continui invii di migranti in Florida da parte del governo federale.

Quest’ultimo viaggio ha fatto molto scalpore negli USA, non solo per il costo sostenuto dai contribuenti, ma anche per la destinazione. Martha’s Vineyard è una piccola isola nota per essere una popolare e benestante colonia estiva di ricchi democratici (Obama ha qui la sua residenza estiva da 11,7 mln di dollari). La popolazione durante tutto l’anno è di circa 20.000 residenti, sebbene d’estate l’isola arriva ad ospitare fino a 100.000 persone. Oltre la metà delle case dell’isola sono abitate solo d’estate. Qui il costo della vita è del 60% superiore alla media nazionale e quello delle case del 100% (il prezzo medio di vendita di una casa è di 1,35 milioni). I residenti hanno avuto compassione per i richiedenti asilo per circa 24 ore e nonostante la maggior parte delle abitazioni sia vuota in questo periodo, non è venuto in mente a nessuno di donarle ai clandestini. La coordinatrice del rifugio per senzatetto dell’isola ha informato i media di non avere abbastanza alloggi per altre 50 persone e i clandestini sono stati respinti in Florida.

La morale di questa incredibile protesta politica è che le élite progressiste sostengono politiche di cui non vorrebbero mai subire le conseguenze e l’unica volta che lo fanno, la loro capacità di sopportazione finisce molto rapidamente. Non stupisce quindi che Giorgia Meloni sia diventata Presidente del Consiglio in Italia, anche se la leadership della UE e i media la detestano. La sinistra la chiama fascista ed erede di Mussolini, ma gli italiani non ci hanno creduto, sebbene abbiano votato solo il 60% degli aventi diritto e questo governo abbia il sostegno di poco più di 13 milioni di elettori.

Le opinioni politiche della Meloni non sono allineate con quelle dei governanti UE, ma in Europa non si parla d’altro. Il pragmatico Macron si è mostrato piuttosto imbarazzato a dover incontrare la Presidente italiana, nominata a tempo di record, durante il viaggio in Italia programmato da tempo. Imbarazzo verso l’opinione pubblica francese, non tanto per i cimeli fascisti di cui alcuni compagni di partito della Meloni si fanno vanto (anche se all’estero faticano a comprendere questa nostalgia), ma piuttosto sull’opportunità di dialogare con l’estrema destra e che questo precedente possa sdoganare Marine Le Pen. Se i politici europei non riusciranno ad intercettare le esigenze dei cittadini dei loro Stati, si possono ipotizzare altre svolte a destra nel nostro continente.

 

Considerazioni politiche

Il contesto di mercato continua ad essere condizionato dalle dichiarazioni degli esponenti della Banca centrale USA. Ancora non c’è evidenza di un picco definitivo conseguito sul fronte della lotta all’inflazione, e in prospettiva non si scorge, una pausa nel processo di aumenti dei tassi di interesse. La reazione del mercato non si è fatta attendere. La probabilità di un ulteriore aumento del costo del denaro dello 0,75% il 2 novembre è risalita al 65%, con un terminal rate proiettato in primavera per non meno del 4.50% (attualmente i tassi sono al 3%). Anche la BCE, il 27 ottobre, ha alzato i tassi dello 0,75% per la seconda volta consecutiva portandoli al 2% (2 rialzi di questa portata non si erano mai visti da quando è nato l’istituto). In Europa però le attese sul terminal rate sono scese dopo il comunicato della Lagarde dal 3% al 2,65%, cioè il mercato si aspetta ancora rialzi dei tassi, a partire da dicembre, ma con un punto di arrivo più basso rispetto a quello che preventivava prima della riunione di fine ottobre.

Il mercato ha già scontato gran parte dei rialzi attesi, ma quale sarà la politica che le banche centrali adotteranno il prossimo anno? La Banca d’Inghilterra (BOE), che è stata la prima ad alzare il costo del denaro, può rappresentare una proxy interessante. A fine settembre e durante il mese di ottobre è intervenuta più volte per arginare il crollo della sterlina e dei titoli di stato, dovuto dalla legge di mini-bugdet del governo di Liz Truss che, a causa della reazione dei mercati, è stata costretta a chiedere prima le dimissioni del cancelliere dello scacchiere Kwarteng e poi a consegnare le sue. Si doveva trattare di un semplice aggiustamento alla congiuntura di bilancio in corso, ma in realtà la manovra presentata portava inattese modifiche fiscali, tutte in deficit per oltre 100 miliardi di sterline.

La BOE ha quindi dovuto abbandonare la politica restrittiva avviata nei mesi scorsi annunciando una politica espansiva per compensare la mancanza di fiducia nel mini budget del governo. Quindi ora abbiamo una politica monetaria espansiva in contrasto con la politica monetaria restrittiva precedentemente avviata. La sensazione è che ogni intervento sembra rendere necessario un altro intervento per correggere le conseguenze indesiderate dell’intervento precedente (“Più pianifica lo Stato, più la pianificazione diventa difficile per l’individuo” Friedrich A. von Hayek).

Quanto accaduto in Inghilterra ci insegna che solo gli USA, beneficiando di un dollaro che è moneta di riserva internazionale, possono permettersi una politica di bilancio fortemente espansiva, durante una fase di rialzo dei tassi. C’è un secondo aspetto: essendo venuto meno l’ombrello monetario che le banche hanno tenuto aperto per oltre un decennio, i mercati ora sono assai sensibili alle politiche di bilancio che aumentano i deficit. Se fino ad oggi le banche centrali hanno agito per contrastare l’inflazione, di fronte al ripetersi di un “caso inglese” potrebbero cambiare il paradigma, ponendo come priorità la stabilità finanziaria.

 

Osservazioni sugli investimenti

L’economia è in una fase di rallentamento, prossima alla recessione, e questo implica che gli investitori devono essere pazienti e mantenere i nervi saldi. Tuttavia nel breve termine ci possono essere sviluppi positivi per i mercati. I titoli di stato USA sono ipervenduti e il sentiment degli investitori è estremamente negativo verso tutte le attività finanziarie. Che gli investitori non siano esattamente ottimisti è comprensibile vista la pessima performance di praticamente tutti gli asset dalla fine del 2021, ma è interessante notare che gli investitori retail e istituzionali sono acquirenti netti di Put a prezzi record (le opzioni Put servono a coprirsi dai ribassi dei mercati).

Di solito segnali di questo tipo chiamano un minimo di mercato (13 ottobre?), che però potrebbe essere intermedio e non definitivo. La forte esposizione dei trader suggerisce che le azioni hanno più probabilità di rimbalzare nel breve termine che di crollare. Inoltre la liquidità in questo momento è molto elevata, secondo Bloomberg i trader siedono su 5.000 miliardi di liquidità. Tutto questo denaro potrebbe essere utilizzato per migliorare le performance dell’anno e un’ondata di acquisti porterebbe ad un miglioramento del sentiment.

Inoltre i mercati finanziari beneficerebbero di un cambio di politica monetaria da parte della FED, se quest’ultima di dimostrasse più accomodante, data la condizione di ipervenduto delle obbligazioni e delle azioni. I titoli più venduti allo scoperto e sensibili al rialzo dei tassi di interesse sono quelli che dovrebbero rimbalzare maggiormente (titoli tecnologici e ad alta crescita), ma chi ne detiene in sovrappeso dovrebbe considerare di ridurre le posizioni su questo rimbalzo. Una politica meno aggressiva della Fed dovrebbe indebolire il dollaro USA ed essere favorevole all’oro, che potrebbe riprendersi il ruolo di bene rifugio oggi interpretato dalla valuta americana.

Le banche centrali difficilmente cambieranno il loro atteggiamento prima delle elezioni di medio- termine (8 novembre) e lo faranno solo al presentarsi di rischi di instabilità per i mercati finanziari. Una politica monetaria più accomodante favorirà sia il recupero delle azioni che delle obbligazioni. Quest’ultime oggi offrono rendimenti che da anni non si trovavano sui mercati e, se la recessione si rivelasse più profonda di quanto già scontato dal mercato, rappresentano un buon strumento di copertura.