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Smart-Working con accesso prioritario

Il D.lgs n. 105/2022 ha previsto, tra le altre cose, una norma che dispone, per taluni lavoratori, la priorità all’effettuazione della prestazione in “Smart-Working” (art. 4, comma1, D.lgs n. 105/2022; si veda sull’argomento anche la nostra circolare n. 251/2022).

La disposizione prevede che i datori di lavoro, sia pubblici che privati, devono riconoscere una priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile, qualora queste richieste vengano presentate da lavoratrici e lavoratori che appartengono ad una delle seguenti categorie:
disabile in situazione di gravità accertata (ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge n. 104/1992);
con figli fino a 12 anni di età;
con figli disabili; qualora il figlio abbia una minorazione, singola o plurima, che abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione (ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge n. 104/1992);
assistente familiare (caregiver) di soggetto che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé (ai sensi dell’art. 1, comma 255, della legge n. 205/2017).

La priorità a vantaggio dei lavoratori sopra indicati, nasce qualora i datori di lavoro stipulino accordi per l’esecuzione dello “Smart-Working”. Si tratta dunque di una priorità e non di un diritto potestativo. Ciò sta a significare che, se il datore di lavoro non intende stipulare accordi di “Smart-Working” all’interno della propria azienda, questa priorità non si attiva.

Criticità della normativa

La disposizione non collega innanzitutto ka validità della priorità alla compatibilità dell’attività lavorativa rispetto alla prestazione resa da remoto. Non è stato cioè disciplinato il caso in cui le mansioni prestate dal lavoratore siano incompatibili rispetto ad un’attività prestata al di fuori della sede aziendale.

Inoltre la norma non specifica l’ampiezza della modalità di lavoro agile che deve essere attivata dal datore di lavoro nei confronti delle categorie di lavoratori sopra indicati, per rispettare la norma di legge. Non è cioè precisato se lo “Smart-Working”, qualora attivato su prescrizione del legislatore, debba necessariamente riguardare tutte le giornate di lavoro o possa essere modulato in base anche alle esigenze del datore di lavoro. In pratica non è chiaro se la stipula di un accordo di lavoro tra le parti, debba riguardare l’intero periodo di esecuzione del rapporto di lavoro (tutta la settimana) ovvero solo una parte (ad esempio due giorni a settimana).

Sanzioni indirette collegate alla disposizione

Il legislatore ha previsto una serie di sanzioni indirette qualora il datore di lavoro non provveda ad attivare il lavoro agile per quei lavoratori che ne facciano richiesta e per i quali è presente la priorità.
L’eventuale rifiuto o un qualsiasi ostacolo posto dal datore di lavoro alla fruizione del “Lavoro Agile”, ove rilevato nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere, o ad analoghe certificazioni previste dalle Regioni, impediscono all’azienda il conseguimento di dette certificazioni.
Si ricorda che il possesso della certificazione della parità di genere, (ex art. 46 bis, del D.lgs n. 198/2006), permette una serie di benefici per le aziende private, ad iniziare dal diritto ad un bonus contributivo previdenziale mensile, non superiore all’1% della contribuzione complessivamente dovuta dal datore di lavoro, entro il limite massimo di 50.000 euro annui per l’azienda. Per cui un eventuale diniego alla richiesta fatta dal lavoratore, può anche comportare la perdita del beneficio contributivo.
Inoltre le aziende certificate hanno un punteggio premiale, sia nel caso partecipino a bandi per fondi nazionale e comunitari, sia nelle procedure di affidamento di appalti pubblici.

Infine il legislatore fa presente che la lavoratrice o il lavoratore che richiede lo “Smart-Working”, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi sulle condizioni di lavoro. Qualora il datore di lavoro adotti una delle misure suindicate, detto comportamento sarà considerato ritorsivo e/o discriminatorio e come tale nullo.